Why … ? Because …
Contrariamente a quanto avviene in altre lingue, in italiano la parola perché viene usata sia per formulare una domanda che per rispondere a tale domanda.
E’ noto che in alcune lingue il termine utilizzato per porre una domanda è differente da quello usato per rispondere: per esempio in inglese esiste rispettivamente il Why e il Because. In francese il Pourquoi e il Parce que. In spagnolo il Por qué e il Porque.
Non vado oltre perché non conosco altri esempi in un senso o nell’altro, ma trovo che l’uso di due termini uguali possa indurre a pensare che a tutti i perché? corrisponda un perché…, mentre è ben chiaro che una cosa è il why e altra cosa è il because.
Magari ci saranno quelli che hanno nel proprio bagaglio più risposte che domande, ma per quanto mi riguarda se mettessi su due colonne, da una parte i perché di domanda (i why) e dall’altra le risposte, nella seconda colonna mostrerei numerosi e importanti vuoti.
Anche chi ha a che fare con bambini di una certa fascia d’età si trova spesso ad affrontare i loro svariati perché? ai quali spesso non è facile rispondere con dei perchè… .
Solo qualche esempio, attinto a caso dal vasto repertorio del mio nipotame, di età che spazia dai 2 agli 8 anni. Si tratta di domande a volte ingenue, tenere, che comunque invitano a una riflessione:
Perché a volte le persone cattive fanno male agli animali?
Perché a volte le persone gli sembra di avere sempre ragione ma non hanno mai ragione?
Perché delle persone se la prendono con i più deboli?
A volte sono domande le cui risposte un adulto dà già per scontate:
Perché il sole ha i raggi nei disegni?
Perché da noi è giorno invece nei programmi è sera?
Perché il mare fa le onde?
Perché alcune scarpe hanno i lacci e altre no?
Altre volte si tratta di interrogativi su argomenti che sfiorano i massimi sistemi, magari difficili da spiegare o qualche volta addirittura assolutamente sconosciuti all’adulto, che in questi casi tenta goffamente di dirottare il discorso …:
Perché il cielo è infinito?
Perché non si può non morire?
Perché esistono i perché?
O domande di bruciante attualità …:
Perché Putin è un idiota?
Infiniti sono e saranno i perché dei bambini e non a tutti noi adulti diamo una risposta, o a causa di qualche nostra lacuna o perché una risposta proprio non c’è. Del resto sono tanti i perché, nel senso di why (e alcuni anche pesano) che anche noi da adulti ci siamo portati e ci portiamo ancora dietro senza aver ancora saputo rispondere con un because …
Ma che riusciamo a rispondere oppure no, tutti i perché dei bambini sono sempre meravigliosi, sono comunque più importanti di una eventuale risposta e in effetti io ho smesso da tempo di dare risposte se non quelle minime indispensabili, ho rinunciato alla pretesa di insegnare quel poco che potrei. Ho imparato invece a imparare da loro, ad ascoltarli (di essere ascoltati hanno molto bisogno, più che di altro), a osservarli, a capire i sorrisi e le delusioni, ho imparato a guardarli negli occhi, il piacere di sentirli ridere, a offrire e ottenere fiducia, trasmettere e ricevere amore, a esprimere l’apprezzamento che meritano per quello che pensano e che fanno.
Sarebbe bello, e anche giusto, riuscire a ritornare bambini. Non per il piacere di ringiovanire, nemmeno per poter rifare tutto daccapo, non per avere il diritto di fare i capricci, neanche per non avere responsabilità o magari per invidia del loro sonno innocente, bensì nel senso degli insegnamenti che possiamo trarre dalle parole di Gesù nel racconto che ci fa Matteo di questo dialogo con i discepoli (Mt 18, 1-5):
1 In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» 2 Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. 5 E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me.
Parole che sicuramente hanno stupito quelli che le ascoltavano, così come sono capaci di stupire anche noi oggi, parole alle quali sono stati attribuiti molteplici significati, sicuramente validi.
In un mondo che ci abitua a crescere vergognandoci delle nostre debolezze, che ci spinge a sembrare sempre sicuri, anche prepotenti se occorre, a fingere, a nascondere i nostri sentimenti, dovremmo riconquistare dei bambini la spontaneità, l’innocenza, la loro disponibilità verso gli altri, anche la curiosità per ciò che li circonda, che fa loro porre quei perché, la loro capacità di creare mondi fantastici negli spazi e nei tempi del gioco.
Ma dovremmo recuperare da loro, se l’abbiamo persa, anche la percezione della nostra debolezza, l’umiltà di riconoscere di avere bisogno dell’aiuto del prossimo, di essere legati ognuno agli altri, l’umiltà di lasciarci guidare, di essere dei piccoli avvicinandoci a Dio.
Oltre questi fondamentali insegnamenti, senza pretendere di dare una ulteriore interpretazione, la mia immaginazione mi fa vedere nelle parole di questo passo del Vangelo un altro pensiero; ho l’idea che qualche altra cosa abbia attraversato la mente e il cuore di Gesù, quando mise il bambino al centro di quel consesso di adulti e disse: “E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me”.
Forse un po’ di nostalgia del suo essere stato bambino con Maria e Giuseppe, l’aiuto che gli diedero e il piccolo aiuto che poté dare nel laboratorio di falegname, oppure gli balenò il pensiero di una frase di chi lo aveva preceduto su questa terra…
…Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato…. (Dt 24,16). …Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità. (Ez 18,20).
Forse in quel momento ha pensato anche a quei bambini sterminati da Erode a Betlemme, quando era ancora in fasce. Erode non fu forse anche lui un padre che fece scontare la sua malvagità a bambini come suo figlio?
Oppure, proiettandosi nei secoli, Gesù in quel momento ha visto le immagini di bambine e bambini avviati ai forni crematori. Non saranno stati padri di figli anche i loro assassini?
E i bambini buttati in guerra con un mitra in mano per essere uccisi o per uccidere, non hanno forse dei padri?
Non saranno forse padri di altri figli e figlie quegli adulti che hanno pensato, progettato, costruito e disseminato mine giocattolo dalle forme e colori a misura della curiosità delle bambine e dei bambini afgani, mutilandoli a migliaia?
Avrà pensato ai bambini e alle bambine coinvolti in guerre, morti, feriti, storpiati, straziati dal dolore, segnati da distruzione e abbrutimento, colpiti fisicamente e moralmente, derubati del diritto a una crescita serena, della possibilità di un futuro, incolpevoli vittime delle guerre volute dagli adulti, dai padri.
Non sono forse, tutti questi e tanti altri, figli che pagano per le colpe dei padri?
E questi bambini poi, deturpati nel corpo e nello spirito, in una tragica concatenazione che si ripete in continuo nella storia, probabilmente diventando padri a loro volta fanno scontare le proprie colpe ai figli, perpetuando per secoli, per millenni le violenze, le guerre, le colpe dell’umanità.
Anche questo è uno dei grandi vuoti nella colonna dei miei perché … di risposta.
Forse è solo per lo strazio che mi procurano le violenze sui bambini che attribuisco questo pensiero a Gesù, ma può darsi che Egli abbia davvero voluto trasmetterci un altro insegnamento, in quel dialogo con i discepoli (e con noi): entrerete nel regno dei cieli solo se cambierete, se in quanto adulti capirete che bisogna spezzare questa catena, se riuscirete a interrompere questo tragico circolo vizioso che porta solo dolore e ingiustizia, se imparerete a rispettare i bambini, le loro esistenze, le loro possibilità di crescere, di conoscere, di imparare, lasciandoli diventare saggi e giusti, se avrete fede, se coltiverete la speranza che sta in loro, perché è la speranza stessa dell’umanità.