Il difficile e l’impossibile.
Difficile, si sa, non equivale a impossibile.
I due concetti sono in un certo senso alternativi.
Fare una cosa difficile è la dimostrazione che farlo non era impossibile.
Sembra semplice: l’impossibile non si può fare, il difficile si può fare.
Eppure a volte sembra che il confine tra i due concetti sia sottilissimo. Il molto difficile, il molto molto difficile, può apparire impossibile.
Mi vengono in mente ad esempio realtà veramente difficili da affrontare, da superare, anche solo da concepire.
E’ difficile capire come un uomo possa uccidere un altro uomo, per di più disabile, un altro uccida una donna che non lo vuole più, un figlio uccida la propria madre.
Difficile, difficile, non sentire un pugno allo stomaco sapendo che esseri umani, uomini donne bambini, a centinaia, a migliaia, dopo aver affrontato una lunga e dolorosa fuga per salvarsi dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame, non si salvano invece dal naufragio nelle acque del nostro mare, a un passo da noi, dalle nostre case, dalle nostre vite comode.
Difficile, molto difficile, non sentire un malessere fisico per un bambino, anche uno, uno solo, che muore per non avere una medicina o una cura, o per fame, o colpito da una bomba.
Difficile in generale capire la guerra, i bombardamenti, gli uomini che si sparano tra loro.
Difficile, caro Satchmo, anche cantare insieme a te What a Wonderful World. “… vedo amici stringersi la mano, dicendo «Come va?», loro in realtà stanno dicendo «Ti amo»… e io penso tra me … Che Mondo Meraviglioso …”.
Difficile pensarlo e ancor di più cantarlo convintamente, pur credendo che questo mondo e questa umanità sono opera di Dio, che dovremmo ringraziare ogni giorno per la vita e per ciò che ci ha donato.
Difficile, in situazioni come quelle che abbiamo sotto gli occhi, cercare un appiglio positivo confidando in un improbabile fondo di saggezza e di razionalità dell’essere umano, o contando sul suo istinto di conservazione. Sembra che l’umanità in questo tempo persegua l’obiettivo di autodistruggersi e contemporaneamente distruggere l’ambiente in cui vive.
Difficile anche coltivare la speranza che l’umanità si redima, farne una preghiera, invocare l’aiuto del Signore.
Ecco dunque che tutta questa realtà così difficile rischia di farci apparire impossibile qualsiasi cambiamento, ci potremmo convincere che non ci sia nulla che si possa fare, perché l’uomo è fatto così, il mondo va per la sua strada a prescindere da noi, risulta facile cedere quasi volentieri a uno scarico di responsabilità, porsi nella comoda posizione di stare alla finestra.
Può sembrare impossibile immaginare che le cose possano cambiare per mano di noi singoli esseri umani.
Eppure bisogna provarci.
La co-fondatrice di Emergency, di cui faccio parte, Teresa Sarti Strada diceva che “Se ciascuno di noi facesse il suo pezzettino, ci troveremmo in un mondo più bello senza neanche accorgercene”.
Siamo chiamati a fare qualcosa, che si tratti di partire dall’”alto” o dal “basso”, che si invochi con la fede e la speranza l’aiuto divino o che si decida di mettere a disposizione le proprie piccole forze per agire concretamente, o praticando entrambe le cose.
Gesù Cristo lo ha fatto e incoraggia anche noi a farlo:
Allora il re dirà a quelli della sua destra: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, lo avete fatto a me”. (Matteo 25,34–40).
Aggiungo, per finire, una nota personale a margine di una piacevolissima serata di inizio luglio nel giardino di via Naumachia, musica e canto del gruppo La Bella Noeva, introiti devoluti a favore di Emergency. Sul finire dell’evento un’amica mi chiese se avessi piacere di dire qualcosa al microfono nella mia “doppia veste”.
Poi non ci fu questa occasione, ma se avessi detto qualche parola forse l’avrei dedicata a spiegare di non sentirmi affatto addosso una doppia veste, come se ne indossassi contemporaneamente due una sull’altra (e quale sopra e quale sotto?) o come se per indossarne una mi dovessi spogliare dell’altra.
Sono troppo ovvie, per parlarne qui, le differenze tra una Chiesa e una fede da una parte e una organizzazione e un’attività “laica” dall’altra, ma esiste un grande patrimonio che appartiene a entrambe, una ricchezza di valori e di principi e anche di sentimenti, che va dalla volontà di operare per aiutare il prossimo, di mettersi al servizio dei più deboli, che mette in primo piano l’uguaglianza tra gli uomini, la giustizia sociale, la parità dei diritti, la salute come diritto per tutti, la solidarietà con chi soffre, il rispetto e l’attenzione per i bisogni di tutti e di ciascuno, la tutela dell’ambiente, del creato, la promozione della pace.
Alla fine parliamo di quello che si potrebbe semplicemente chiamare amore, amore verso il prossimo e ciò che ci circonda.