Verità e Credibilità
Ho ascoltato, in questo caso via fb, durante uno dei recenti culti domenicali, una illuminante e ispirata (nel senso proprio di dettata dallo spirito) meditazione sulla Parola di questo brano del Vangelo di Giovanni: 30Mentre egli parlava così, molti credettero in lui. 31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Essi gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: “Voi diverrete liberi”?» 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che chiunque commette il peccato è schiavo del peccato».(Giovanni 8,30-34).
Ho definito in quel modo la meditazione per l’evidenza data ai differenti termini credente e discepolo, ma anche per l’urgenza di ribadire sempre la necessità di seguire la Parola per giungere alla Verità e conseguentemente alla Libertà dal peccato, dalle false credenze, dalle superstizioni.
E ho pensato a quanto possa sembrare da un lato impegnativa la ricerca della Verità, in apparenza altissima e irraggiungibile, tanto che fermandosi a questa prima sensazione molti possono reagire con scetticismo o con indifferenza; dall’altro lato in realtà l’obbiettivo che ci indica Gesù è alla portata di tutti, estremamente vicino a tutti noi, perché è proprio la sua Parola.
Ma anche noi come i Giudei, nell’uso comune, sulla parola “verità”, sul significato e i concetti di cui è portatrice, possiamo incontrare incertezze.
Ad esempio c’è un termine il cui significato confina con quello di “verità” che nell’uso comune nel giro di qualche anno, in maniera quasi sotterranea, è scivolato verso un significato diverso da quello originale. Niente di strano: in una lingua viva come la nostra è naturale, dipende da vari fattori, non ultimo la poca attenzione che si dedica, per velocità, alla scelta dei termini da usare.
Ma mentre in alcuni casi è solo questione di sfumature, in altri si possono causare seri equivoci.
La parola alla quale mi riferisco è Credibilità e l’aggettivo Credibile.
Nell’uso comune si attribuiscono a questi termini almeno tre livelli di valore: uno è il senso originario di apparente, verosimile, plausibile, poi si slitta verso i significati di vero e verità, fino addirittura, in una certa scala di valori, a sopravanzarli.
Alcuni esempi: ci sono casi in cui il credibile vale meno del vero. Se incontro una conoscente che da un giorno all’altro è dotata di una lunga coda di capelli (extension), i suoi capelli saranno credibili, verosimili, ma non veri; lo stesso vale per le protesi estetiche installate nei corpi di uomini e donne, così come in tutti i casi in cui l’apparenza è cosa diversa dalla realtà.
In altri casi è ormai in uso il termine credibile dandogli lo stesso valore di vero: se per esempio mi dici “La teoria esposta dal relatore è risultata molto credibile”, io capisco che non intendi insinuare che sotto l’apparenza si nasconda una falsità – oppure “In questa iniziativa io sto mettendo in gioco tutta la mia credibilità” non parlo solo di ciò che voglio che gli altri credano di me, ma intendo che sto mettendo in gioco me stesso la mia competenza la mia vita e la mia storia.
Fino a qui sembra non ci sia niente di pericoloso. Ma quando il credibile assume importanza superiore al vero, la questione diventa molto più delicata.
In un suo saggio, L’Arte del Dubbio, che analizza le testimonianze nel processo, Gianrico Carofiglio, magistrato e scrittore, spiega che è più importante che un teste sia credibile piuttosto che dica la verità. La credibilità non ha a che fare con la verità ma con la percezione di chi ascolta. Quindi è più producente la testimonianza di un teste che si esprima con pacatezza, parlando non troppo veloce né troppo lento, a voce né troppo alta né troppo bassa, curando l’aspetto né trasandato né troppo ricercato, rispetto alla testimonianza di un soggetto che non risponda a questi requisiti eppure dica la verità.
Un’osservazione che riferendosi alla ricerca della verità processuale ha indubbiamente la sua giustificazione logica. Ma al di fuori delle aule giudiziarie, e aggiungerei delle sale teatrali e cinematografiche, confondere il Credibile con il Vero o addirittura dare più valore al primo rispetto al secondo può diventare a livello individuale e sociale molto pericoloso.
E’ chiaro che il pensiero va subito alle fake-news per mezzo delle quali viene propagato intenzionalmente il falso per scopi personali.
Ma il falso che si maschera dietro il credibile non riguarda solo le fake-news diffuse dai socials.
Ad esempio era credibile per la fonte da cui proveniva (la, allora, massima autorità del più potente paese del mondo), ma non era vero, che il coronavirus si potesse combattere con farmaci antimalarici o iniettandosi dosi di disinfettante.
Altre dimostrazioni le constatiamo nella guerra in Ucraina, con notizie false usate come armi.
In epoche diverse e in diverse situazioni la parola Verità è stata utilizzata per proclamarsi detentori di un valore in contrapposizione a tutti gli altri.
Ad esempio nel 1912 venne fondato il quotidiano Pravda (“Verità”), divenuto in epoca sovietica organo ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e poi dal 1992 del Partito Comunista della Federazione Russa.
Poco più di un secolo dopo, nel 2016 in Italia, nella società delle innumerevoli e contraddittorie fonti di informazione, corrette o no, viene fondato un quotidiano chiamato La Verità.
La cosa curiosa (perché sembrerebbe incoerente col nome del giornale), che però ci permette di fare rotta di ritorno verso il Vangelo da cui siamo partiti, è che nella prima pagina del quotidiano, proprio sotto la testata, appare una citazione dal Vangelo di Giovanni: Quid est veritas? ("Che cos'è la verità?").
Si tratta della frase finale del dialogo tra Ponzio Pilato e Gesù Cristo:
33Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» 34Gesù rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?» 35Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?» 36Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi consegnato ai Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». 37Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici, sono re; io sono nato per questo e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». 38Pilato gli disse: «Che cos’è verità?» (Giovanni 18,33-38).
A questo dubbio “filosofico” di Pilato, che il quotidiano ha fatto proprio, Gesù in quell’occasione non dà una risposta, ma la risposta la fornisce a Tommaso, indicandoci la strada per giungere alla Verità: 5Tommaso gli disse: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?» 6Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».(Giovanni 14,5-6).