Arte
(2° parte)
Riprendo le mie, forse molto opinabili, considerazioni sull’Arte, ma da altri punti di vista che implicano anche qui qualche riflessione.
E’ una cosa per tutti? O una cosa per pochi?
Dovrebbe essere un patrimonio a disposizione di tutta l’umanità, ma in realtà, a seconda delle epoche storiche e delle situazioni sociali, è stata a volte l’una e a volte l’altra. Se pensiamo alle rappresentazioni degli antichi teatri greci e romani, ma anche ai musicisti di strada, ai teatranti itineranti, ai cantastorie, si può parlare di diffusione popolare di certe espressioni artistiche.
In altri frangenti e in altre epoche, in parte anche nella nostra, invece si tratta di roba da ricchi. L’Arte dei grandi musicisti, pittori, scultori, anche quando storicamente non ha avuto il compito di rappresentare l’ostentazione di potenza e di supremazia dei loro committenti (e lo ha avuto spesso), è comunque stata per lo più rinchiusa presso le corti e le case patrizie per il diletto di familiari e di convitati, e ciò non vale solo per le opere d’arte figurativa; anche i grandi musicisti suonavano e i teatranti di successo si esibivano nelle dimore regali, nelle case dei nobili e dei potenti.
Solo dal 18° secolo in poi le grandi collezioni d’arte divennero musei aperti al grande pubblico, a partire dai Musei Capitolini, la Galleria degli Uffizi e il Louvre dopo la rivoluzione. I concerti divennero pubblici a partire dalla fine del ’600 a Londra e poi nel resto d’Europa tra il ‘700 e l’800. Ma, attenzione, l’apertura dei grandi musei e dei teatri al pubblico equivalse alla imposizione dell’ingresso a pagamento, e allora come oggi i prezzi di musei, teatri e concerti sappiamo non essere esattamente “popolari”.
Succede poi anche oggi che le grandi fondazioni private, i potentati economici, si accaparrino le più importanti opere d’arte a suon di centinaia di milioni di dollari.
Oggi tutto questo è in parte mutato grazie alle biblioteche pubbliche, alle manifestazioni artistiche, musicali, alla street art, ai concerti in piazza, agli eventi culturali aperti, ecc., e mi auguro che l’Arte sia sempre più fruibile da tutti e diffonda capillarmente la sua azione benefica.
Ma al di là di tutto questo, l’aspetto dell’Arte che mi provoca una contraddizione tra il piacere di goderne e questioni di coscienza è la consapevolezza che non solo dai tempi dei faraoni, ma sicuramente anche da prima, la produzione di opere artistiche ha provocato il sacrificio di migliaia di vite umane.
Nel corso della storia imperatori e capi di stato bisognosi di dimostrare la loro potenza, mecenati dalle grandi risorse e ambizioni, grandi banchieri (leggi all’epoca: usurai) e papi guerrafondai, hanno commissionato le opere di altissimo valore che oggi fanno parte del patrimonio culturale e artistico del mondo, sovvenzionandole con proventi derivanti da guerre, invasioni, soprusi, azioni sanguinarie di ogni tipo.
Se poi ci spostiamo dai committenti ai produttori, cioè agli artisti, inevitabilmente condizionati dalla necessità pratica di accattivarsi i favori ed evitare discordie con i potenti, a tutti sarà capitato di stupirsi venendo a conoscenza di particolari poco edificanti della vita di pittori, scrittori, musicisti, ecc., di comportamenti così antitetici rispetto alla spiritualità delle loro opere. Si tratta di un dato di fatto, non certo di un giudizio morale che non potrei dare.
E’ vero che se non ci fossero stati quei papi, quei mecenati e se poi questi non avessero fondato in quel modo la loro potenza, probabilmente le numerosissime e splendide opere che oggi vantiamo nel patrimonio artistico e culturale italiano e mondiale non esisterebbero; ed è altrettanto vero che le opere umane, e in particolare quelle artistiche, una volta prodotte e pubblicate, vivono di una vita propria e prescindono dalle cause e dagli antefatti.
Sebbene sia vero tutto ciò, fino a che punto è possibile ammirare le piramidi, il Colosseo o tanti magnifici affreschi senza pensare alle vite umane che sono state sacrificate per realizzarli?
E’ un scrupolo eccessivo il mio? Credo di no.
Non spetta soprattutto a noi che custodiamo con cura valori morali, umani e religiosi guardare al di là dell’aspetto esteriore, dell’oggetto? Non ci riguarda la riflessione sulla sorte di uomini, donne, bambini sacrificati per omaggiarci di un tale patrimonio?
Così come, passando a un altro campo, dobbiamo sempre ricordare che questa riflessione si può riferire anche a tutta la produzione non artistica dei beni e dei servizi che consumiamo.
Purtroppo noi abitanti di questa parte del globo, in questo sistema economico, noi che non rientriamo tra gli sfruttati ed emarginati del mondo e della società, noi che siamo ormai da lunga data abituati a fruire di oggetti, di servizi, di un intero sistema che ci propone prodotti necessari o superflui, noi ci poniamo raramente il problema di come, dove e da chi tutto ciò venga prodotto.
Abitiamo case, frequentiamo edifici, usiamo strade e a volte distrattamente ascoltiamo notizie di morti nei cantieri; consumiamo frutta e verdura proveniente spesso dal lavoro di braccianti sfruttati e che vivono in condizioni inumane; adorniamo con palloncini colorati le feste dei nostri bambini senza sapere, o voler sapere, che loro coetanei bengalesi per produrli lavorano dodici ore al giorno a piedi scalzi respirando prodotti nocivi.
Naturalmente la lista sarebbe lunghissima e, da notare, stavolta i committenti siamo proprio noi. E ovviamente non sempre si può scegliere in senso diverso, ad esempio di non transitare da un ponte o di non consumare verdura.
Si tratta solo dell’osservazione, insomma, che siamo forse inconsapevolmente nella posizione privilegiata e contemporaneamente insensibile e disumana in cui si trovavano certi despoti.
E allora avere un pensiero per le vittime causate in ambito artistico non è un ozioso esercizio mentale, tanto meno è un rifiuto delle espressioni artistiche, ma vuol dire provare la giusta compassione per chi ha sofferto per la sua produzione, e nei casi in cui è possibile fare scelte conseguenti nei propri consumi e comportamenti.
Ma nonostante tutto questo non credo che sia giusto, che sia salutare per la nostra vita e per il nostro spirito privarci di quella poesia, di quella danza, di quell’affresco, di quel mosaico, di quella musica, non possiamo farne a meno. Forse non ne conosciamo esattamente il motivo, ma queste espressioni di genialità, di sensibilità, di talento, di inventiva, di ispirazione, di certo provocano sempre un’attitudine contemplativa in chi le ammira, fanno sorgere all’interno di chi ascolta, di chi osserva, sentimenti elevati, hanno il potere di innalzare il nostro spirito e di affratellarci, di condividere il nostro mondo interiore con il nostro prossimo, di comunicare messaggi di pace e fratellanza.
E poi, se vogliamo, possiamo condividere questo pensiero di Vincent Van Gogh, figlio di pastore protestante ed egli stesso in gioventù predicatore delle Scritture tra i più umili: “Penso che tutto ciò che è veramente buono e bello, la bellezza interiore, morale, spirituale e sublime negli uomini e nelle loro opere, viene da DIO. Non posso fare a meno di pensare che il miglior modo di conoscere DIO è amare molte cose.”